Benvenuti al secondo appuntamento con le grandi classiche dell’automobilismo mondiale a cura di Antonio Bomba.
Ieri abbiamo esaminato la storia di Montecarlo attraverso il
ranking All Time. Oggi tocca ad Indianapolis ed alla sua 500 miglia.
Chi è riuscito ad entrare nella lista dei migliori 100 piloti di sempre alla
Indy 500? Scopritelo assieme a noi.
Indianapolis è la pista ovale più famosa del mondo con le
sue quattro curve in pendenza, due mini rettilinei di raccordo ed i due mega
rettilinei opposti. Una pista da 2,5 miglia da ripetere 500 volte.
Ogni cosa è speciale a Indianapolis e tutto si rapporta alla
tradizione. Chi vince, nella più classica tradizione degli sport americani,
riceve un anello (l’equivalente del nostro scudetto o medaglia per intenderci)
ed una mega coppa, il Borg-Warner Trophy
su cui di anno in anno viene aggiunta immagine e data
dell’ultimo vincitore
Ad Indianapolis chi vince festeggia brindando con il latte
e, ore dopo la corsa, terminate le
interviste di rito, corre a baciare la yard di mattoncini rimasta a ricordare
il primo “asfalto” che aveva caratterizzato lo speedway. Tradizione
quest’ultima molto giovane avendo meno di venti anni. Infine il vincitore porta
a casa anche la Pace Car, quella che in F1 è nota come Safety Car.
Indianapolis è la corsa per monoposto a ruote scoperte che
più di tutte può essere considerata un mondiale in gara unica. Ricco e straricco
il suo montepremi. Difficilissima da vincere per tutti, esperti degli ovali,
raffinate superstar made in USA, rinomati assi del volante europeo.
Basti pensare che delle 97 edizioni sin qui disputate, solo
diciotto piloti sono riusciti a ripetersi vincendola minimo un’altra volta. Il
record assoluto è fermo a quattro vittorie e se lo spartiscono AJ Foyt, Al Unser Sr. e Rick Mears.
Chi dei tre è riuscito tuttavia ad imporsi come il più
grande di sempre ad Indianapolis? Ecco cosa dice il nostro ranking. Ricordatevi
il criterio base su cui è stato stilato che è sempre quello di venire incontro
ai neofiti della specialità: Ho dato punti ai primi 10 classificati con lo
stesso metodo utilizzato oggi in F1 (25-18-15-12-10-8-6-4-2-1). Punteggi
dimezzati, quando non trimezzati o quadrimezzati, per coloro che nelle prime
edizioni condividevano la vettura con altri piloti. E punteggio dimezzato anche
per le edizioni in cui si sono percorse meno del 75% delle rituali 500 miglia
previste. In caso di parità di punteggio è davanti chi ha ottenuto i
piazzamenti migliori e se si sono ottenuti gli stessi piazzamenti, resta
davanti chi li ha ottenuti prima. La colonna GP indica il numero di piazzamenti nei primi 10.
A trionfare è Al
Unser Sr., il più rappresentativo della famiglia Unser, la famiglia più
dominante di tutte ad Indy, come potrete constatare anche voi a breve, e nel
motor sport americano come logica conseguenza. Unser Sr., alle quattro vittorie
già dette, aggiunge ben quindici piazzamenti in top 10, con ben undici
piazzamenti a podio.
Unser Sr. grazie a questi podi precede AJ Foyt, il pilota più amato dagli appassionati USA e, ripetendoci,
primo in assoluto a vincere per ben quattro volte sul catino dell’Indiana. A
metà tra il burbero ed il classico spaccone americano, di certo un grande
personaggio ed un pilota eccellente in grado di mettere d’accordo tutti.
Storica la sua rivalità con Mario
Andretti per il titolo di pilota americano più grande dei loro tempi prima
e di sempre poi.
“Solo” terzo un’altra leggenda delle corse americane: Rick Mears. Poco amato dal pubblico
rispetto agli altri due è riuscito a suo volta a vincere quattro Indianapolis,
fornendo di volta in volta nuovi approcci per trionfare e concedendo nulla o
quasi allo spettacolo. Peggio per i suoi detrattori, il palmares parla a suo
favore.
Quarto Wilbur Shaw,
pilota degli anni venti e trenta capace di vincere ben tre volte. A seguirlo il
brasiliano Helio Castroneves che
anche quest’anno punterà alla vittoria per arrivare a quattro successi. Uno dei
suoi tre successi è uno dei più contestati della storia di Indianapolis.
Durante la guerra tra IRL e Champcar (come se la F1 fosse spaccata in due
federazioni ben distinte ognuna col proprio campionato e punto di riunione in
una gara simbolo come potrebbe essere Montecarlo) nel 2002 fu attribuita la
vittoria ad Helio quando ogni immagine TV aveva dimostrato che a vincere era
stato Paul Tracy. Una bandiera
gialla era stata esposta infatti quando in testa c’era il canadese, che
tuttavia guidava per il team Newman-Haas proveniente dalla Champ Car. Guarda
caso i giudici diedero primo all’uscita della gialla, e conseguente vittoria
dato che la gara non tornò più in regime di bandiera verde, Helio Castroneves
del team Penske e appartenente al campionato IRL, facente capo allo stesso
proprietario di Indianapolis, la famiglia George, al tempo rappresentata da
Tony.
Nel 2009 invece terza affermazione per lui con una storia da
cui Hollywood prima o poi tirerà fuori di sicuro un film. Arrestato mesi prima
con l’accusa di aver evaso milioni e milioni di dollari di tasse (come forse
saprete negli USA con le tasse non si scherza), Castroneves fu detenuto per
diverso tempo e fu anche costretto a saltare le prime gare del riunito campionato
Indycar. Poi l’assoluzione con formula piena, il ritorno in macchina a poche
settimane dalla Indy 500 e la vittoria della corsa.
Dietro il brasiliano un altro Unser. Questa volta Bobby, fratello di Al. Bobby ha vinto
ben tre indy 500, e si contende con Castroneves la palma di vincitore più
discusso. Nel 1981 infatti la vittoria è stata assegnata addirittura dai
tribunali della USAC, l’ente che organizzava l’evento. Un fatto incredibile per
il mondo del motor sport americano dove il risultato acquisito in pista è
considerato sacro ed inviolabile e le penalizzazioni sono date in multe e punti
di penalità in campionato. Unser uscendo dai box durante una fase di bandiere
gialle fu accusato di aver superato troppe macchine (cosa vietata dal
regolamento ma che fece anche Andretti seppur in misura minore) e la mattina
seguente fu privato della vittoria in favore di Mario Andretti fino ad ottobre,
quando i responsabili della USAC gli restituiranno la vittoria. A fine anno
disgustato comunque dall’accaduto Unser si ritirò dalle competizioni.
A seguirlo uno dei primi grandi ad Indy, Louis Meyer. Colui che involontariamente
ha creato la tradizione del latte servito al vincitore. Dopo aver conquistato
la sua seconda Indy500, nel 1933, al traguardo da stremato chiese un bicchiere
di latte. Stessa cosa fece dopo la vittoria del 1936. Questa volta però gli fu
servita un’intera bottiglia di latte. Da lì la tradizione che si è stabilizzata
qualche decennio dopo.
Lo segue Ted Horn,
prima sorpresa di questa top 100. Horn non ha mai vinto la corsa delle corse
americana ma in compenso tra gli anni trenta e quaranta è andato nove volte in
top 10. Dietro di lui uno dei plurivincitori più dimenticati della quasi
centenaria storia di Indianapolis, Gordon
Johncock.
Chiude la top 10 il figlio di chi l’aveva aperta e che,
egocentrismo tutto americano, porta il suo stesso nome. Stiamo parlando di Al Unser Jr. uno dei piloti americani
più forti e popolari degli anni novanta.
Appena fuori la top 10 la leggenda, piedone Mario Andretti. Controverso, sfortunato
e duro. Questo il rapporto di Andretti con la 500 miglia, vinta una sola volta
nel 1966 ed andatoci vicino non si sa nemmeno quante altre volte. Ecco se la
famiglia Unser è la faccia vincente di Indianapolis, quella degli Andretti è di
certo la perdente. Come Mario, quasi a non volerlo superare per rispetto
paterno, il figlio Michael non ha
mai vinto una sola indy 500. E detto senza offesa che poco si poteva pretendere
da John Andretti, è sino ad ora a
zero anche Marco, figlio di Michael
su cui l’intera famiglia ripone tute le speranze di interrompere questa sorta
di maledizione sportiva.
E gli altri? Quanti ex formula 1 hanno tentato di trionfare
ad Indianapolis? Decine, forse addirittura centinaia se ci si mettesse a
contare tutti quelli che dopo aver disputato almeno un GP europeo abbiano
tentato l’esperienza ad Indy.
Detto di Mario Andretti che essendo italiano di origini è
considerato l’eroe dei due mondi per eccellenza, troviamo altre leggende del
motor sport.
Su tutti Graham Hill,
l’unico, ricordiamolo ancora oggi, a trionfare a Montecarlo, Indianapolis e 24
ore di Le Mans. Hill non rientra nella top 100 ma sarebbe un torto enorme non
ricordarlo.
Ma meglio di lui ha fatto l’asso scozzese per eccellenza. Jim Clark. Una vittoria e due secondi
posti per uno dei più grandi piloti di sempre.
Mentre si sono concluse con i risultati massimi di un sesto
ed un nono posto le esperienze di due campioni del mondo come Jackie Stewart ed il recentemente
scomparso Jack Brabham (nella foto).
In epoche più recenti troviamo un altro grande del
motorsport, Emerson Fittipaldi. Il
due volte vincitore del mondiale di Formula 1, dopo la drammatica esperienza
coi proprio team Copersucar/Fittipaldi sembrava diventato il fantasma del
fuoriclasse che era stato. Eppure giunto negli USA ha mano mano ritrovato le
motivazioni necessarie per far tornar fuori le qualità che erano in lui. Il
risultato è stato il trionfo in ben due edizioni della Indy 500. Fittipaldi si
è preso anche il gusto di fare come gli pare ed interrompere la tradizione del
latte, bevendosi il succo d’arancia a fine gara per promuovere il suo commercio
d’arance, suo grande business.
Peggio è andata a Nigel
Mansell. Nel 1993 poteva tranquillamente vincere non avesse sbagliato
l’ultimo restart. Un errore che comunque non gli ha impedito di terminare
terzo. L’anno successivo Mansell ha concluso la sua esperienza nel catino
dell’Indiana tamponato da Denis Vitolo ed ustionato dal metanolo fuoriuscito nell’incidente.
Coraggiosa e degna di nota l’esperienza di Nelson Piquet. Devastatosi durante i
test alla sua prima apparizione nel 1993, al punto che molti dubitavano che
Nelson potesse tornare a camminare
dopo un lungo quanto prodigioso recupero Nelson si
ripresenta nel 1994, probabilmente solo per dimostrare che era ancora vivo, in
piedi ed in grado di far andare le macchine dove diceva lui. Il risultato in
gara non conta, quel che conta è che uno da troppi ritenuti un semplice
“fortunello” ha fatto vedere che non si vincono tre mondiali di formula 1 senza
due attributi giganteschi tra le gambe.
Densa di speranze ma risoltasi con un pugno di mosche è
stata invece la corsa di Michele Alboreto nel 1996.
Chi invece ha dato un senso ad una carriera vincendo ad
Indianapolis è stato Eddie Cheever vincendo nel 1998 dopo venti anni
circa di belle promesse mai mantenute nei risultati. Un risultato da numero uno
per uno che da ragazzino disse no ad Enzo Ferrari, convinto potesse ambire a
qualcosa di meglio.
Indianapolis è stata anche il trampolino di lancio finale
per due autentici cavalli di razza che dagli USA hanno conquistato in modo
tutto loro l’Europa, Jacques Villeneuve e Juan-Pablo Montoya. Il
canadese ed il colombiano sono al momento gli ultimi due ad aver attraversato
l’oceano mantenendo un buono standard di risultati.
Tra gli italiani invece si segnalano tre emigranti che hanno
avuto molta più fortuna negli USA che in Europa.
Il primo è Teo Fabi
che nel 1983 ottenne la Pole Position e sembrava destinato alla vittoria prima
che un guaio al pit stop lo costringesse al ritiro. Le chance di vittoria non
torneranno purtroppo più ma un buon numero di
top 10 lo consacrano comunque come un grande.
fabi è il #33
Un altro è Fabrizio
Barbazza che nel 1987 ottenne uno straordinario terzo posto. L’Europa non
ha mai valutato a sufficienza le qualità di velocista puro e di grande
risparmiatore del mezzo di Barbazza. Davvero peccato perché nel 1993 alla guida
della Minardi non aveva di certo sfigurato.
Infine Alex Zampedri
passato dalla gloria alla tragedia in pochi istanti. Da potenziale vincitore
dell’edizione del 1996 ad incidente sulla linea del traguardo che ha lasciato
sull’italiano conseguenze fisiche permanenti.
Abbiamo nominato un Alex. E allora prima che ce lo
chiediate… No. Alex Zanardi non ha
mai corso la Indianapolis 500. Quando dominava negli States il campionato era
già diviso tra Champcar e IRL ed il suo team, Ganassi, correva per il primo
campionato mentre ad Indianapolis gareggiavano solamente quelli facente parte
del secondo.
L’appuntamento con le grandi classiche dell’automobilismo
tornerà in prossimità della 24 ore di Le Mans.
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